Voce e Canto

“Nella musica pop non esiste una tradizione di canto, ed è bene ricordare che proprio le caratteristiche individuali di ogni voce, qualunque esse siano, possono essere parte determinante del successo di un’artista. Questo signfica che non ci può essere una tecnica vocale univoca, buona per tutte le stagioni, esportabile, che funzioni per tutti, ma solo alcuni comuni elementi meccanici che vanno resi efficienti e calibrati su ogni voce”.

“Nel canto operistico le cose sono molto diverse. Non solo esiste un repertorio che seppur vasto, richiede per essere eseguito una “tecnica” che anche se non proprio univoca, deve basarsi comunque su finalità comuni, ma esiste anche una tradizione esecutiva che può fungere da modello. Inoltre il cantante lirico, non utilizzando microfoni, deve possedere già di suo una voce “teatrale”, allenarla e fare un lungo percorso preparatorio prima di poter affrontare anche il più modesto ruolo di comprimario in un’Opera” 

“Due sono gli aspetti che coesistono in una esecuzione: quello emotivo-espressivo, ossia il valore artistico e quello atletico-muscolare, ossia quello puramente meccanico e artigianale.Più l’aspetto artigianale è automatico e saldo, più il cantante potrà esprimersi liberamente e compiutamente. Nel caso contrario non potrà andare oltre le sue buone intenzioni, affidando al caso e alla buona sorte la riuscita artistica delle sue esecuzioni. L’obiettivo quindi è automatizzare posture e coordinamento articolatorio per raggiungere il massimo in termini di profondità, ricchezza armonica, volume, bilanciamento, uniformità timbrica, gestione dei registri e resistenza al lavoro. Tutti requisiti inprescindibili per ogni cantante o attore che non voglia mai che l’efficienza della propria voce, sia altalenante e inaffidabile, rendendo praticamente impossibile la pianificazione di un calendario di impegni artistici professionale”.

Meccanismi di emissione

Due serie di muscoli nella struttura anatomica della laringe hanno la funzione di allungare e mantenere in tensione le corde vocali  durante la loro vibrazione: 

(1) il gruppo aritenoideo (M1, meccanismo pesante, voce di petto, registro modale, chest voice ..)

(2) il gruppo crico-tiroideo (M2, meccanismo leggero, voce di falsettto testa, Head voice..)

Il primo gruppo (aritenoideo, M1) funziona quando vengono prodotti toni medio bassi. Tutti i suoni prodotti con questa regolazione meccanica sono identificati come suoni in voce di petto, (chest voice)

I muscoli del secondo gruppo (crico-tiroideo, M2) creano un meccanismo più leggero e funzionano prevalentemente come tensori delle corde vocali quando vengono prodotti suoni alti o di debole intensità. Tutti i toni prodotti con questa regolazione sono identificati come suoni di testa (Head voice) 

Dovrebbe essere ovvio che l’uso del primo gruppo come mezzo di pratica vocale, ha lo scopo di far raggiungere pienamente la massima potenza e pienezza timbrica di cui ogni voce è capace.

Finché si riesce a mantenere la laringe nella posizione bassa che assume sempre quando il respiro viene inalato profondamente attraverso una gola libera, si può salire nell’estensione senza danni e con la certezza che il suo uso contribuirà allo sviluppo vocale, anche se sostenuto da un vigoroso e necessario uso di energia. 

Continuare a salire in acuto, dopo che la laringe si è definitivamente alzata invece, produrrà inevitabilmente un’ emissione forzata, provocando la costrizione della gola, e risultando fortemente logorante e dannoso per il cantante. 

Occorre affrontare lo sviluppo della voce, procedendo gradualmente con costanza e attenzione massima. Attraverso un programma di vocalizzi progressivi che portino ad automatizzare la corretta postura di canto che dev’essere mantenuta in tutta l’ estensione.

Nessun cantante danneggerà la sua voce fintanto che la sua gola rimarrà aperta liberamente!

Al contrario qualsiasi suono, forte o debole, emesso quando la gola è costretta, causerà tensione e accumulerà riflessi muscolari interferenti che danneggeranno (a volte irrimediabilmente) l’organo vocale.

(maurizio zappatini)

“Voce di petto”.. Chest voice

I conservatori dovrebbero sottolineare l’importanza di sviluppare la voce di petto piuttosto che scoraggiarne l’uso. 

Queste istituzioni sostengono erroneamente che la voce di petto può danneggiare il tuo strumento, portando molti aspiranti cantanti ad abbandonarne lo sviluppo. 

Contrariamente alla credenza popolare, lo sviluppo della voce di petto non è limitato a specifici tipi di voce. I cantanti di tutte le classificazioni vocali possono trarre vantaggio dallo sviluppo di questo registro, con il quale i cantanti possono ottenere un suono più pieno, più scuro e più risonante. 

Una voce di petto ben sviluppata consente ai cantanti di produrre vocali più chiare e più forti, migliorando la loro proiezione complessiva. 

La voce di petto funge da ancoraggio e fondamento della voce di un cantante. 

Se il tuo attuale insegnante scoraggia lo sviluppo della voce di petto o promuove idee sbagliate sui suoi effetti negativi, potrebbe essere consigliabile chiedere consiglio a un altro insegnante. 

È essenziale lavorare con un insegnante esperto che comprenda l’importanza del corretto sviluppo di tutti i registri vocali. ___Video___

(Maria Callas)

Voce naturale e voce impostata

In una voce impostata, presa di fiato, pressurizzazione, stabilità dell’assetto laringeo e uso consapevole delle risonanze, sono il frutto di un lungo percorso di allenamento. Impostare la voce non significa assumere posizioni rigide, “figure obbligate”, schemi fisiologici precostituiti. Impostare la voce significa sviluppare e amplificare in modo armonico le potenzialità naturali già presenti nel parlato, con vocalizzi adeguati e mirati alla costruzione di una voce stabile e professionalmente idonea alle esigenze del repertorio da affrontare.

Nelle vocalità naturali, questi parametri, rispondono spesso a una istintiva capacità di adeguare l’emissione alle esigenze del brano.  Generalmente presa di fiato e pressurizzazione sono casuali e spesso la pressurizzazione avviene a carico delle muscolature della gola. La laringe ha un escursione verticale non controllata (più o meno alta per le note alte, bassa per quelle basse) e le risonanze cercate empiricamente e trovate quasi sempre a discapito dell’articolazione e inteleggibilità del testo letterario.

Eppure molto spesso, vocalità pop che “funzionano”, sono proprio costruite su queste basi.

Si possono però preservare le qualità proprie di una vocalità Pop, ottimizzandone l’emissione attraverso un allenamento che rafforzi le srutture portanti e innesti gradualmente un coordinamento più funzionale, efficace e soprattutto, affidabile. Nel canto “pop” i registri primari sono quasi sempre usati separatamente, e questo è giusto, mantenere una emissione più vicina al parlato è un riferimento stilistico molto evidente in quasi tutti i repertori e in quasi tutti gli stili vecchi e nuovi. Ma spingere il registro di petto (M1) oltre le sue possibilità fisiologiche può costare molto. Imparare a mixare i due registri nella zona alta dell’estensione è importante per i repertori che richiedono ampie estensioni. E’ un lavoro impegnativo a volte lungo, ma è anche l’unico modo di preservare il proprio patrimonio vocale e rallentarne l’invecchiamento.

Danni alla voce

Le corde vocali sono due pieghe (lembi tendinei) rivestite da una mucosa, all’interno della laringe. È l’ondulazione di questa mucosa a dare origine alla voce. Nel caso di un trauma, può crearsi un rigonfiamento (edema) in una zona del bordo delle corde vocali, dovuto a versamento di siero, la parte acquosa del sangue. A questo punto le corde vocali non hanno più un buon contatto durante la vibrazione, e la voce comincia a risuonare sporca, soffiata, roca, con un progressivo impoverimento anche del timbro, che diventa più opaco e sfibrato.

CAUSE – Le più comuni sono uno sforzo improvviso ed eccessivo delle corde vocali, motivo per cui l’edema colpisce quasi sempre chi fa ampio o prolungato uso della voce a volumi elevati, come cantanti, insegnanti o commercianti di strada. Ma l’origine può anche essere un uso tecnicamente imperfetto della voce, quando non si parla usando a dovere il diaframma (il muscolo che separa la cavità toracica da quella addominale) e si stressano in sua vece le corde stesse. All’edema possono concorrere anche fattori d’altro genere, come il reflusso gastroesofageo, la ritenzione idrica, lo stress.

DIAGNOSI E TERAPIA – Per la diagnosi occorre una visita foniatrica da un otorinolaringoiatra con esecuzione della laringostroboscopia, una tecnica che consente di visualizzare il movimento delle corde vocali e in particolare della mucosa, e altri parametri, rilevando eventuali patologie o danni (edemi, ma anche noduli, polipi o emorragie interne), che impediscono alle corde vocali di avvicinarsi e di vibrare perfettamente. Formulata la diagnosi, si possono seguire diversi percorsi terapeutici. 

– Farmaci. Un edema occasionale acuto può essere affrontato inizialmente con farmaci naturali a base di bromelina o di arnica, ed eventualmente cortisonici e diuretici. È fondamentale il riposo vocale (almeno due settimane) per lasciar riassorbire l’edema. 

– La fonochirurgia. Quando non funzionano le altre terapie si può passare a due tipi di interventi, per rifilare il bordo delle corde vocali nella zona dell’edema, in modo da ripristinarne la forma rettilinea: nei casi più semplici tramite fibroendoscopia, arrivando alla gola dal naso, praticabile in day hospital con anestesia locale; nelle situazioni più complesse, in anestesia totale e con ricovero ospedaliero, attraverso piccoli tagli sul collo, in mircochirurgia. Vanno eseguiti da mani molto esperte, per non alterare le caratteristiche della voce, richiedono un riposo vocale successivo di circa tre mesi e una riabilitazione con logopedista.

La voce di un fumatore e di un non fumatore: le differenze

Il fumo cambia la voce, è uno dei fattori più evidenti della dipendenza dal tabagismo. È un cambiamento effettivo, sebbene lento, tanto che a volte il fumatore stesso non se ne accorge. Deriva dal danneggiamento delle corde vocali, a causa delle sostanze nocive della sigaretta che percorrono le vie respiratorie. 
Le corde vocali di un non fumatore infatti, risulteranno di un colore chiaro, quelle di un fumatore tenderanno all’arancione o rosa. Questo fenomeno si chiama Iperemia (condizione per la quale si registra un aumento della quantità di sangue all’interno di una determinata parte del corpo) È un’infiammazione che procurerà al fumatore una voce sempre più rauca e un fiato più corto, anche quando parla. 
Al contrario, un non fumatore potrà contare su una voce limpida e maggiore resistenza vocale. Questo è importante principalmente per i cantanti. Certo, la voce del fumatore potrebbe risultare graffiante, misteriosa, ma non sana. Il non fumatore, tutelando le sue corde vocali, avrà anche una diversa capacità di modulazione della voce, molto utile anche nel doppiaggio. 

Voce e fumo: se smetto miglioro? 

Smettere gradualmente di fumare ha i suoi benefici. Molti cantanti hanno scelto di non fumare più perché la loro prestazione vocale era peggiorata. Non solo, anche la resistenza e il fiato erano molto compromessi e smettere ha comportato un netto miglioramento. Il fumo è nemico della voce e allontanarsene comporta un ripristino quasi totale delle corde vocali, che a poco a poco si disinfiammano. Di conseguenza lo strumento vocale sarà più pulito. Anche a livello respiratorio ci si può aspettare incredibili risultati. In pochi anni l’apparato “disintossicato” mostrerà visibili segni di purificazione e l’ex tabagista potrà accorgersene anche solo attraverso la respirazione.

La respirazione per il canto di Alessandro Patalini

Soltanto chi respira bene sa cantare bene (A. Bernacchi, in H. F. Mannstein: Système de la grande Méthode de chant de Bernacchi, 1835)

Chi non conosce l’arte di signoreggiare il proprio fiato, non potrà mai chiamarsi vero cantante (E. Garcia: Trattato completo dell’arte del canto, 1840)

Tutta l’arte del canto sta nel saper ben respirare, e questo faceva dire agli antichi maestri essere il canto la “scuola del respiro” (E. Delle Sedie: Arte e fisiologia del canto, 1876)

Premessa

  • La respirazione per il canto lirico, concepita in un senso completo, è l’adattamento di una funzione egemonica (che è quindi prioritaria rispetto ad altre funzioni del corpo umano perché destinata ad assicurare la sopravvivenza), alle specifiche esigenze di una funzione secondaria come quella fonatoria.
  • Questo adattamento non è affatto facile, e risulta condizionato da fattori generali, come la difficoltà di modificare una funzione che normalmente è gestita a livello istintivo, e da fattori individuali, che consistono essenzialmente nel grado di agevolezza respiratoria (congenita o acquisita) propria di ogni individuo. La respirazione per il canto risulta quindi dipendente da regole sia generali sia individuali, e, se si ignorano le prime (ovvero le caratteristiche fisiologiche dei movimenti respiratori), le seconde (ovvero le caratteristiche individuali) risultano spesso difficilmente gestibili, sia nel caso in cui debbano essere migliorate, sia nel caso in cui, essendo corrette, debbano essere riprodotte per la prestazione professionale. Trascurare la conoscenza oggettiva della respirazione, inoltre, asseconda la illusoria convinzione che non esistono regole generali cui fare riferimento per insegnare e/o imparare a gestire la respirazione per il canto.
  • Va comunque considerato che, nonostante il corpo umano funzioni secondo meccanismi comuni a tutti gli esseri umani, le caratteristiche individuali, fisiche e attitudinali, inducono a percepire e a descrivere (nei casi peggiori, a non saper percepire e a non saper descrivere) i propri movimenti respiratori, fino a ritenerli, erroneamente, diversi da quelli di tutti gli altri.

Introduzione

Per analizzare l’argomento della respirazione per il canto va operata una distinzione fra due aspetti diversi, per quanto siano tra loro strettamente connessi:

1.    I movimenti dei muscoli respiratori finalizzati allo scambio di aria;

2.    I movimenti, istintivi o coscienti, che i muscoli respiratori compiono durante la fonazione, e che hanno effetti sulla gestione del flusso espiratorio e della pressione sottoglottica.

Il rifornimento di aria

La respirazione

È lo scambio di aria fra i polmoni e l’atmosfera, avviene alternando ciclicamente condizioni di depressione e pressione all’interno della gabbia toracica, che danno rispettivamente luogo a inspirazione ed espirazione.

Il diaframma

  • È il principale muscolo respiratorio del corpo umano, composto di numerosissime fibre agganciate su tutta la base della gabbia toracica e sulle vertebre lombari, e confluenti, verso l’alto e l’interno della gabbia toracica, sul centro frenico, che si presenta come un intreccio di fibre tendinee che ricorda il fondo di un cesto, in cui appunto giungono ad intrecciarsi le fibre che compongono i lati del cesto. Sul centro frenico sono il cuore e i bronchi, questi ultimi collegati alla trachea e alla laringe. Ogni movimento del centro frenico, quindi, sposta tutti questi organi.
  • Dal centro frenico parte un insieme di legamenti tendinei, chiamato sistema sospensore del mediastino, che lo collegano al rachide cervicale, alla articolazione temporo-mandibolare e allo sterno. Questo sistema elastico si tende alla discesa del centro frenico prodotta dalla contrazione del diaframma e torna a riposo al rilascio della contrazione, aiutando la risalita del centro frenico e la espirazione, per questo motivo il prof. Ph.-E. Souchard lo chiama “tendine del diaframma”.
  • Il ciclo respiratorio è dunque sinteticamente riassumibile nell’alternarsi di inspirazione (contrazione del diaframma, discesa del centro frenico, tensione del sistema sospensore del mediastino, depressione intratoracica) ed espirazione (rilascio del diaframma, risalita del centro frenico, ritorno a riposo del sistema sospensore del mediastino, pressione intratoracica).
  • Il diaframma non assolve soltanto ad una funzione respiratoria, ma ha un ruolo fondamentale anche nella funzione circolatoria e digestiva grazie alla capacità di produrre condizioni di pressione e depressione intratoracica che hanno un riflesso sulla massa viscerale (alla depressione dell’una corrisponde necessariamente la pressione sull’altra, e viceversa).
  • È inoltre importantissima la funzione posturale, per cui come riporta il dott. O. Meli, Presidente della Associazione Italiana Rieducazione Posturale Globale, “il diaframma interviene, insieme ai muscoli addominali e spinali, nella stabilizzazione del rachide e del tronco grazie all’aumento della pressione intraddominale ed intratoracica,  contribuendo a formare una sorta di manicotto di supporto per la colonna vertebrale”.

Funzionalità e disfunzionalità del diaframma

  • La profonda connessione fra il diaframma e organi, muscoli e ossa del torso, la molteplicità delle sue funzioni, l’incessante utilizzo che ne facciamo senza sosta per tutta la durata della vita, durante il sonno e la veglia, lo stress emotivo che tende ad aumentare il tono muscolare, il fisiologico e progressivo accorciarsi delle fibre muscolari legato all’avanzare dell’età, la gravità terrestre che attrae i visceri e di conseguenza il diaframma, fa sì che questo muscolo tenda più facilmente a contrarsi e scendere, che a rilasciarsi e risalire.
  • Di conseguenza, esso perde elasticità, che si misura confrontando la lunghezza di una fibra muscolare nella condizione di massima contrazione e di massimo rilascio, e, come scrive sempre il dott. Meli, “La meccanica respiratoria, già in assenza di patologia, tende a favorire uno squilibrio progressivo della respirazione caratterizzato da quello che il Prof. Souchard definisce “blocco inspiratorio” del torace, caratterizzato dal rimanere del torace in un atteggiamento in inspirazione costante”
  • Questo blocco, ovviamente, finisce per interessare anche i muscoli intercostali, che possono essere coinvolti profondamente sia nella respirazione che nella gestione della voce artistica.
  • Da un punto di vista neurologico, ciò concorda con quanto scrive la dott.ssa L. Finamore, neurologo: “questa tendenza ad essere contratto per troppo tempo (non un lavoro armonico di contrazione-decontrazione che ogni muscolo dovrebbe seguire) determina una modificazione qualitativa del muscolo stesso. Tale modificazione consiste nel fatto che le fibre muscolari si riducono in percentuale a favore di cellule fibrose di sostegno. Questa modificazione si ritiene sia la risposta naturale adattativa del corpo alla richiesta di un continuo irrigidimento di un muscolo. Nel caso del diaframma la trasformazione fibrosa avviene più lentamente poiché il diaframma si contrae solo per sforzi massimali tutto insieme, di solito tende a contrarsi seguendo un’onda di contrazione, quindi l’individuo se ne accorge coscientemente solo quando è molto evidente il suo irrigidimento”.

Effetti della perdita di elasticità del diaframma

  • Tornando agli studi del prof. Souchard riportati dal dott. Meli, la perdita di elasticità del diaframma “impedisce un adeguato movimento espiratorio del torace, e insieme impedisce di trovare la condizione necessaria per effettuare un valido atto inspiratorio successivo” ciò significa che il sistema respiratorio procede naturalmente verso una graduale diminuzione degli scambi aerei, con maggiore difficoltà ad espirare e conseguente minore capacità di inspirare. D’altronde lo si può dedurre anche logicamente: un muscolo che non si rilascia fa difficoltà a contrarsi, e i polmoni che non si svuotano non possono accogliere nuova aria! Questo per quanto riguarda l’aspetto strettamente respiratorio.
  • Dal punto di vista posturale, ricordando la stretta connessione del diaframma con la zona lombare del rachide attraverso le inserzioni dei cosiddetti pilastri del diaframma, e la connessione alla zona cervicale attraverso il sistema sospensore, è chiaro che il mantenimento della contrazione del diaframma tende a trazionare costantemente il rachide in direzione avanti – basso, aumentando patologicamente la curva lombare e quella cervicale.  A ciò si aggiungono importanti conseguenze sull’apparato digerente.
  • Dato che “l’esofago è saldamente ancorato alla colonna vertebrale, una importante discesa del diaframma, o sforzi continui e ripetuti in occasione di uno sforzo importante associata ad una energica inspirazione, possono determinare l’ ”estrazione”  dello stomaco attraverso l’anello muscolare del diaframma e la risalita dello stesso al di sopra del setto”. La eccessiva e costante posizione bassa del diaframma, insomma, fa sì che le sue fibre non riescano più a cingere correttamente la zona di congiunzione fra esofago e stomaco, favorendo la risalita dei succhi gastrici che si riversano nella laringe e causano i diffusissimi problemi di reflusso gastrico. Nei casi più gravi, il diaframma giunge a posizionarsi così in basso che una parte dello stomaco resta al di sopra, dando luogo alla cosiddetta ernia iatale. 
  • Temo che molti cantanti possano riconoscere in queste patologie (difficoltà respiratorie, aumento delle curve lombare e cervicale del rachide, reflusso gastro-esofageo ed ernia iatale) uno o più dei propri disagi, e che possano considerare la perdita di elasticità del diaframma come una delle possibili cause.
  • D’altronde la dott.ssa R. Mazzocchi, logopedista del Centro di Audiofoniatria dell’Ospedale di Spoleto diretto dal dott. G. Brozzi, ha elaborato un protocollo di trattamento delle disfonie collegate a problemi gastroesofagei che prevede la distensione le fibre del diaframma, e che ha dato risultati positivi su un significativo campione di pazienti.

I problemi veri e falsi della respirazione del cantante

  • Venendo al caso specifico della respirazione artistica, possiamo utilizzare quanto esposto fin qui per collegare i problemi respiratori frequentemente avvertiti dai cantanti, come la difficoltà a realizzare una soddisfacente presa d’aria, la esiguità e velocità della espirazione, la tendenza a quello che viene comunemente definito senso di “ingolfamento”, ad una perdita di elasticità dei muscoli inspiratori, che tendono progressivamente a mantenere la propria contrazione e quindi a rimanere in posizione inspiratoria. La prova eclatante di ciò deriva da una osservazione possibile a tutti: quante volte sentiamo di aver finito il fiato e, non appena prendiamo nuova aria, avvertiamo un senso di “ingolfamento”?  In quel caso dovremmo considerare che se fosse stata un effettiva mancanza di aria, la inspirazione sarebbe bastata a risolvere il disagio, se, invece, il disagio viene addirittura acuito dalla inspirazione, vuol dire che la sensazione di “fine fiato” è impropria. Essa andrebbe piuttosto considerata come una condizione in cui, nonostante la riserva di aria non sia esaurita, non si ha la capacità di completare la espirazione a causa, appunto, della difficoltà a rilasciare la contrazione dei muscoli inspiratori e a far agire quelli espiratori.  
  • Anche la brevità e la violenza della espirazione, in questa prospettiva, dovrebbero essere attribuite alla difficoltà di rilascio di muscoli inspiratori molto tesi, e ricondotte ad un deficit espiratorio. Ne deriva che la risoluzione del problema non può essere ottenuta cercando di potenziare la contrazione dei muscoli inspiratori, ma, al contrario, favorendo il loro rilascio, aiutandosi con la contrazione dei muscoli antagonisti della inspirazione, ovvero gli espiratori, principalmente i muscoli addominali (retto e trasverso dell’addome, piccolo e grande obliquo).

Movimenti volontari dei muscoli respiratori in relazione alla fonazione

Appoggio diaframmatico

In presenza di una corretta capacità di rilascio, la fuoriuscita del fiato è prodotta dal fisiologico rilascio del diaframma, e il cantante che voglia aumentare la durata della espirazione, deve necessariamente limitare la risalita del diaframma grazie alla sua contrazione anche durante la espirazione (non è possibile gestire la risalita del diaframma se non con la contrazione del diaframma stesso).

Questa manovra viene tradizionalmente chiamata Appoggio diaframmatico

  • Durante l’Appoggio diaframmatico il diaframma si contrae, ed è quindi il soggetto di una azione che, proprio come indicato dal termine Appoggio, va dall’alto verso il basso.
  • Va considerato che la contrazione del diaframma durante la espirazione tende a far irrigidire la laringe, per cui le corde vocali oppongono una maggiore opposizione al passaggio dell’aria, chiamata impedenza glottica. Aumentando l’impedenzaglottica, il fiato preme con maggiore pressione contro la superficie inferiore delle corde vocali e viene aumentata la pressione sottoglottica, per cui le corde vocali vibrano più ampiamente.
  • In tal modo la contrazione del diaframma durante la espirazione causa un aumento di pressione sottoglottica e indirettamente provoca un aumento dell’intensità del suono.
  • L’Appoggio diaframmatico è quindi utile sia per aumentare la durata della espirazione, sia per aumentare l’intensità del suono.

La contrazione del diaframma durante la espirazione è chiaramente una manovra non prevista nella respirazione naturale, perché il diaframma viene sollecitato a contrarsi anche nella fase espiratoria, quando la fisiologia respiratoria prevedrebbe che il diaframma si rilasci.

Per quanto l’Appoggio diaframmatico produca un rallentamento della espirazione e un aumento dell’intensità sonora, fattori spesso importanti per le esigenze della voce artistica, va ricordato che c’è sempre un alto rischio che tale manovra impedisca:

·       un completo utilizzo della riserva d’aria, sottraendo la principale risorsa alla fonazione e impedendo una successiva ampia inspirazione,

·       la fluidità della espirazione, compromettendo la continuità e la qualità del suono.

Per ottenere tutti i vantaggi derivanti dalla manovra di Appoggio diaframmaticoed evitare o almeno ridurre i rischi di una manovra artistica considerabile a livello generale come anti-fisiologica, si rende quindi necessario un aiuto che renda la espirazione comunque completa e fluida, proprio mentre l’Appoggio cerca di allungarne la durata e aumentarne la pressione.

Sostegno diaframmatico

Dato che l’azione dell’Appoggio diaframmatico va dall’alto verso il basso (con i visceri che vengono sospinti verso l’esterno dell’addome), per controbilanciare tale azione risulta necessaria una contrazione dei muscoli addominali, che comprimono i visceri da fuori verso dentro. 

Questa manovra di supporto alla espirazione è in linea con la fisiologia respiratoria, perché, come esposto sopra, i muscoli addominali hanno naturalmente una funzione espiratoria.

Questa azione di supporto alla espirazione, utile a bilanciare la spinta verso il basso del diaframma sui visceri, e ad evitare i rischi di un eccessivo Appoggio diaframmatico, viene tradizionalmente chiamata Sostegno diaframmatico. Anche a livello lessicale il termine sostegno è opposto e complementare al termine appoggio, e indica una forza che va dal basso verso l’alto e sostiene qualcosa che sta scendendo verso il basso, limitandone la discesa.

Con essa i muscoli addominali comprimono i visceri ed indirettamente contrastano la discesa del diaframma, accompagnandolo verso l’alto, nonostante esso sia contratto e cerchi di scendere, e rendendo graduale la espirazione.

Così facendo il Sostegno diaframmatico impedisce che si blocchi la espirazione, e quindi fornisce un aiuto fondamentale alla continuità e completezza della espirazione nel canto artistico.

Per quanto l’aggettivo diaframmatico venga utilizzato in entrambi i casi, in realtà il significato è differente: l’Appoggio è diaframmatico perché è compiuto DAL diaframma, mentre il Sostegno è diaframmatico in quanto è offerto AL diaframma

Per concludere: il diaframma produce l’Appoggio, i muscoli addominali producono il Sostegno, il diaframma SI APPOGGIA, e VIENE SOSTENUTO dai muscoli addominali. 

Disfunzionalità dell’Appoggio a causa di una inconsapevole rigidezza del diaframma 

  • È evidente che il cantante gestisce il fiato senza ricorrere a movimenti estranei alla respirazione, ma semplicemente imparando a contrarre i muscoli inspiratori anche durante la espirazione e ad aumentare parallelamente l’azione espiratoria che altrimenti sarebbe posta in crisi. Per questo motivo la respirazione per il canto va considerata come utilizzo specialistico di movimenti naturali, e di questi movimenti segue le caratteristiche e anche le criticità, inclusa la fisiologica tendenza dei muscoli inspiratori a perdere elasticità avvantaggiando l’atteggiamento inspiratorio rispetto a quello espiratorio.
  • Ricollegandoci a quanto detto sopra, infatti, si deve notare che un cantante somma la contrazione diaframmatica dell’Appoggio ai molteplici motivi di scarso rilascio del diaframma presenti in ogni individuo, cioè va a contrarre per motivi artistici un muscolo che tende ad essere già scarsamente rilasciato per motivi fisiologici. Ciò conduce il diaframma di un cantante a perdere la capacità di rilascio e ad assumere una posizione costantemente inspiratoria, cioè bassa, più velocemente che in un individuo qualunque. 
  • Questa perdita di elasticità è paradossalmente ancora più deleteria proprio per coloro che avrebbero bisogno di utilizzarla a fini artistici, evitando le pericolose conseguenze a carico della cervicale (aderente, si ricorda, alla laringe e al vocal tract) e dell’apparato digerente.
  • Se poi si pensa che lo stress da performance aumenta il tono muscolare generale, e quindi anche del diaframma, si può concludere senza dubbio che, nonostante sia difficile accorgersene (anzi, spesso siamo indotti a credere l’opposto), il diaframma di un cantante si trova molto più facilmente in una condizione Appoggiata che Sostenuta e che la brevità della espirazione non è causata da scarso Appoggio, ma proprio dalla scarsità di Sostegno.
  • Dovremmo allora saper distinguere fra una contrazione volontaria dei muscoli inspiratori, finalizzata alla gestione della espirazione cantata e che costituisce l’Appoggio, e una contrazione involontaria degli stessi muscoli, dettata dal fisiologico disequilibrio della meccanica respiratoria, che non solo ostacola il Sostegno, ma interferisce proprio con la manovra di Appoggio perché irrigidisce i muscoli che dovrebbero eseguirla. 
  • Ogni contrazione involontaria dei muscoli inspiratori durante la espirazione cantata, soprattutto se inconsapevole, è da considerarsi come disfunzionale a livello respiratorio perché limita gli scambi aerei, e come lesiva della possibilità di gestione artistica del fiato, perché limita l’Appoggio e rende faticoso il Sostegno

Conclusioni: l’importanza di avere consapevolezza della propria postura diaframmatica

  • A conclusione di questo sintetico discorso sull’utilizzo della muscolatura respiratoria nel canto (in cui per ragioni di sintesi, si è volutamente trascurato il ruolo della muscolatura toracica), vorrei sottolineare quanto sia importante che un artista vocale presti la massima attenzione alla elasticità dei muscoli inspiratori.
  • La respirazione si svolge al meglio, con ampiezza di scambi, ovvero con completezza di rifornimento e di utilizzo della riserva d’aria, se i muscoli che la producono si trovano nelle condizioni di differenziare al massimo le due azioni di contrazione e rilascio.
  • Inoltre, e questo riguarda ancor più da vicino le specifiche esigenze dei cantanti, qualsiasi manovra di Appoggio, che viene necessariamente compiuta grazie alla contrazione dei muscoli inspiratori, risulta limitata, quando non addirittura impedita, se questi muscoli sono già contratti.
  • In sede didattica, quindi, prima di consigliare le manovre di Appoggio o Sostegno, andrebbe attentamente valutata la condizione in cui si trovano i muscoli respiratori dell’allievo. Solo dopo aver appurato la loro elasticità, ed eventualmente consigliato l’intervento di un terapeuta specializzato, si può essere sicuri che l’allievo si trovi nella possibilità fisica di eseguire correttamente tali manovre. 
  • La capacità di differenziare le condizioni di contrazione e rilascio, costituisce la premessa essenziale alla propriocezione del movimento, e quindi è la base fondante di un percorso di apprendimento chiaro e duraturo, per una vocalità artistica efficace ed efficiente.

IL DIAFRAMMA: VITTIMA O CARNEFICE? di Daniele Raggi

Grande e straordinario ”muscolo della vita”; sottile, forte, impari, centrale, asimmetrico nella sua forma ed anche nella sua funzione.
Formato da una cupola che nella realtà non ha mai una forma simmetrica come viene rappresentata nelle varie immagini.
È il muscolo principe della respirazione; divide ed al tempo stesso unisce due grandi cavità: la parte superiore, respiratoria e la parte inferiore, viscerale. Viene perforato ed attraversato da grandi tronchi vascolari e dall’esofago per portare il cibo fino al sottostante stomaco ed intestino.
Nel tempo, il suo movimento spesso ridotto… e la sua forma modificata…, risultano essere il prodotto finale di tutto ciò che ha dovuto subire nel corso della vita: dal tipo di emozioni e di stress, alla condizione dei visceri, alla forma del torace; al tipo di lavoro e sforzi che ha sostenuto la persona, alla forma ed ancoraggio del cuore a lui adesso attraverso il pericardio.
Se vogliamo ben comprendere la sua vita e le sue peripezie, basti pensare a quelle persone con una enorme pancia, in cui il volume dello stomaco, il volume del fegato, il volume dei visceri e del grasso viscerale fungono da seri ostacoli ad ogni atto inspiratorio. È così tanto lo sforzo a scendere per inspirare (introiettare aria), che alla fine dei suoi costanti sforzi, nel tempo, lui tenderà a rimanere contratto, “bloccato” verso l’inspirazione; ovvero verso il basso, riducendo così la sua corsa naturale verso la risalita, ovvero il “lasciare uscire l’aria” viziata. Tale alterazione e “riduzione di movimento” (quando i movimenti sono fisiologici fungono anche da “pompa per i fluidi” interni), ovviamente si rifletterà su una serie di organi e funzioni; per esempio il ritorno venoso e linfatico dagli arti inferiori non solo non sarà favorito, ma sarà addirittura ostacolato dalla iper-pressione endo-addominale per colpa del suo ridotto movimento de-compressore e della sua alterata posizione…, più bassa del dovuto.
Per questa stessa ragione, lui è anche il principale diretto responsabile del “reflusso gastro-esofadeo”, del “cardias beante”, dell’”ernia iatale”.
La sua posizione bassa, a ridosso dei visceri, si scopre essere responsabile della pancia gonfia e debordante e molto spesso anche delle incontinenze, delle difficoltà di evacuazione, etc.
Data la sua posizione più bassa del dovuto per le ragioni espresse sopra, lui diviene anche uno dei principali elementi di disturbo della parte alta, agendo da trazionatore verso il basso a carico del cuore, della parte del mediastino…, ed attraverso questo stesso arriva ad agire sullo ioide e dunque su tutti i muscoli che dall’osso ioide arrivano alla bocca, alla lingua, al collo, alle cervicali.
Insomma, non si scherza con il diaframma.
Ma, se proprio dobbiamo essere giusti, dobbiamo riconoscergli anche la componente di vittima di un sistema molto complesso, in cui lui si trova a dover rispondere pedissequamente ad ogni stato emotivo di allerta, ad ogni disagio fisico. Nulla lo lascia indifferente!!!
Ma allora, in un trattamento posturale, come ci si deve comportare? Dove agire in primo luogo? Ignorarlo…, trattarlo da vittima… o da carnefice? È veramente sufficiente fare la classica “respirazione addominale diaframmatica” tanto decantata? Assolutamente no!!!
In un sistema tanto complesso si deve conoscere la sua dinamica alla perfezione. E proprio perché lui è il regista delle catene e particolarmente sensibile ad ogni stato emozionale o fattori traumatici, deve essere sempre considerato, valutato e coinvolto nel piano terapeutico in base alla storia clinico/temporale degli eventi della vita di quel singolo paziente.
Dobbiamo anche ricordarci che le sue tre porzioni (anteriore, media e posteriore), hanno movimenti diversi, fattezze e composizione proteica diverse e dunque velocità e resistenze diverse. Come tali subiranno impatti adattativi diversi.
Il suo trattamento a prescindere deve essere fatto tenendo conto di come si è posizionato e di come si è adattato. Se la sua corsa è ampia o breve, se la sua posizione prevalente è alta media o bassa. Se è lui che comprime i visceri o sono loro a perturbare il diaframma.
Inoltre, ogni trattamento che gli si riserva, avrà effetti completamente diversi in base alla posizione del corpo che adotteremo nel trattamento ed alla messa in tensione delle catene o non, di cui lui ne è corresponsabile.
Dopo quasi 40 anni di osservazione clinica in ambito posturale, non ho più dubbi sul fatto che la “postura decompensata” ed una azione di “allungamento globale” delle catene, sia il modo migliore per ottenere nuovamente “funzionalità del sistema” ed “azzeramento dei dolori”.
Ed ecco che le “posture decompensate”…, la ricerca e la messa in relazione dell’effetto con la causa, si rivelano strategie speciali e producono risultati davvero straordinari.
Ecco una foto di come il diaframma possa deformarsi durante la vita. Ora non ditemi che la vita non ha il potere di “formarci e poi anche…deformarci”.
(D. Raggi)